Giurai al mondo intero, in un momento di rabbia, che non mi sarei mai più avvicinata a quell’albero. Mancò qualcosa, però, a quella promessa che si rivelò vana, qualcosa che nascosi sottoterra e che decisi di andare a riprendere dopo molto tempo. In quel cofanetto di legno scuro, dove mia madre conservava il suo diario, c’era un passato ingombrante, il nostro, impossibile da cancellare.
Là dentro c’era l’unico ricordo di lei e c’era l’incubo di un’infanzia sgualcita come la gonna a fiorellini blu che portavo da bambina.
Nonostante fossi una donna, ormai, continuavo a rimuginarci.
Quando lui mi stringeva sentivo freddo, e poi caldo. Il suo corpo pesava sul mio e faceva a pugni con il verde dell’erba umida e della cicoria cresciuta, come me, troppo in fretta.
Non distinguevo più i colori. Niente aveva più importanza.
Volevo cambiare nome, vita, e pelle come i serpenti. Ma non potevo.
Spina e sale fu quell’uomo, che non seppe scindere un milione di sbagli mediocri da uno madornale.
La ferita, da una parte pungeva e dall’altra bruciava.
Mio padre fu questo per me: spina e sale.
Non riuscii a perdonarlo mai per il male che fece non soltanto a me.
Sfiorando la busta di mia madre, lo squarcio dell’anima riapparve come un fantasma vivo e inabissato tra le pieghe dell’inconscio.
Lo vedevo sui muri il dolore, s’arrampicava come un’edera sempiterna; lo sentivo camminare sottopelle, come un ago.
Avevo paura, paura di tutto. Come avrei potuto uscire da una palude così profonda?
Il silenzio era l’unico appiglio, per andare avanti senza che quel segreto diventasse una raffica di Maestrale pronto a fermare il mio volo.
Mi sentivo una farfalla dalle ali di vetro, in perenne attesa di un boato che mi scuotesse dal torpore, e invece niente. Nella mia stanza vuota non si sentiva una mosca volare.
Morivo ogni giorno.
Nessun volo dentro me. Nessun brusio. Nemmeno una carezza.
Pregavo tutti i santi giorni, con il rosario. Nonna Virginia mi insegnò che per uscire da un qualsiasi inferno bisognava inginocchiarsi e pregare fino alla morte.
A Giras, un piccolo paese dell’entroterra sardo, imparai a stare in ginocchio e con le mani giunte, a invocare Dio, anche quando Dio pensava a sciagure ben più importanti della mia.
Dovevo sottomettermi al silenzio, in silenzio.
Perché?
Perché la vergogna era più forte della verità e di qualunque preghiera.
E la verità, che cos’era la verità? Una boccetta di assenzio da ingoiare d’un fiato.
La Sardegna fu magia e prigione per me. Ci invidiavano tutti per i poderi fertili. Poveri illusi!
Malgrado le imposte chiuse, il bagliore della luna accompagnava le mie notti insonni, passate a cercare un solo motivo per vivere in quel sottobosco pieno zeppo d’insidie.
Non mi arresi, mentre la gente in piazza sembrava leggermi attraverso.
Ma che cosa ne potevano mai sapere loro dei miei guai?
Dovevo forse essere punita per qualcosa?
Iniziai a sperare che quei ciliegi bruciassero tra le fiamme come le ceneri di mio padre.
Accesi non so quante candele affinché ciò potesse accadere.
Ma le preghiere, dovevo saperlo, non erano desideri che prima o poi si sarebbero avverati.
Le preghiere furono sassi lanciati contro le montagne.
Giulio Murru, mio padre, era uno che dettava legge in paese. Esportava confetture di ciliegie in Continente, grazie alle conoscenze politiche e ai doganieri portuali. A Giras, era l’unico contadino privilegiato.
Mi portava lui al ciliegio più grande. Ci andavamo con il suo adorato cavallo.
Credevo perfino che quella bestia, nera come la pece, fosse posseduta dal Demonio.
Galoppava, fiera e folle, proprio come lui.
E superbo era anche “Sua Maestà Il Ciliegio”, il suo albero preferito.
Era la pianta più nascosta, la più lontana da sguardi indiscreti.
Nessuno poteva vedere o sentire cosa stesse accadendo lì, a un passo dal baratro. E se anche avessero sentito, nessuno avrebbe proferito parola.
Mi ingannò più e più volte con la scusa di quei frutti lucidi e rossastri.
«Prepara le ali piccola, perché un giorno sarai libera come quell’ape lì», mi disse un giorno, indicandone una che svolazzava su di una margherita. «Potrai scegliere il tuo fiore quando sarai più grande, ma finché ci sarò io, dovrai essere buona e ubbidiente, come adesso», mi disse.
Quelle parole mi trafissero il cuore, come la migliore spada impugnata dal miglior condottiero.
Abbandonai i ciliegi per anni. Non mi importò più nulla del raccolto.
Fui tormentata dalle ombre delle maldicenze.
Ero una figlia ingrata, io. Giulio Murru fu un brav’uomo, invece, un gran lavoratore, non come mia madre che passava la vita a cucire e ad aspettarlo invano.
Lui sedeva al bar, alla stessa tavola rotonda dei giudicanti, fino all’alba, un’alba invisibile per noi.
Il vento piegava querce e ulivi secolari. Di contro, la testa di Giulio Murru non si piegò di fronte a nessuno, se non alla Signora con la falce, il giorno in cui morì, cadendo da cavallo, unica ragione di vita per lui.
Dopo la sua scomparsa, mia madre fuggì al Nord, portando via con sé, non me, ma poche cose, tranne la lettera.
Finalmente, un giorno trovai la forza di perdonare almeno lei e aprii la busta.
Cara Rosina,
la colpa è mia, di tutto. È stata sempre e soltanto mia e di un’assurda isola, dove sembra non ci sia niente, se non qualche anima stregata da un futuro incerto nei campi di carciofi spinosi, abbandonati all’arsura di agosto.
Sapevo dell’Uomo Nero ma non ho avuto il coraggio di reagire.
Anche Dio sapeva tutto di noi, di me e dei colpi presi al buio.
Io e Dio sapevamo anche dei tuoi giovani sogni, infranti all’ombra di quel maledetto ciliegio.
Quante lune vuote e quante stelle piene di vita ho visto consumarsi, inghiottite tra i verdi declivi.
Dio è stato l’unico ad aiutarmi a vedere la nostra lontananza come un falco che avvolge e protegge il nido da lontano.
Volevo piume e ali possenti per te, piccola mia.
Spero, un giorno, tu possa volar via dalla gabbia di quel cielo fosco.
Vola Rosina! Vola più in alto che puoi! Non aver paura mai del vento contro.
Grazia, mamma tua
MARINA ATZORI
Grande Marina
Bellissimo racconto nella sua tristezza.
Complimenti Marina!
Dolce e crudele, un racconto sofferto, denso, vivo, che varca i confini del dolore e alla fine, apre le porte alla speranza. Una narrazione raffinata, con parole calibrate al punto giusto, per arrivare a toccare le corde dell’anima, come solo Marina Atzori sa fare. Un racconto toccante che commuove, dolce e amaro al tempo stesso.
Il valore simbolico del racconto nasce in modo spontaneo e quindi più possente e credibile dalla schiettezza dei sentimenti, delle passioni, dal bene e dal male e dal loro ininterrotto conflitto.
Un racconto scritto con efficacia lasciando che ragione e passione interagiscano dando vita a tematiche di rilievo
Un racconto denso di dolore. Molto bello per la delicatezza con cui è stato affrontato un tema difficile, una violenza che lascerà una traccia indelebile, ma nello stesso tempo la volontà di superarla cercando di volare con le ali di una farfalla. Bravissima come sempre, Marina.
Crudo, aspro, pare scorticare la pelle. Questo racconto narra, con crudele dolcezza una realta’ tanto consueta quanto celata tra le terre della Sardegna. Marina Atzori conosce bene l’uso delle parole e qui lo dimostra con estrema maestria.
E, se tutto è andato avanti, qualcosa è rimasto immobile, sepolto fra le radici del grande ciliegio.
Un segreto.
Un pezzo di vita, nel profondo buio della terra.
È il momento di di dare luce a tutta quella tristezza, ma non quello del perdono.
Grande Marina.
Parole semplici che trascinano dall’inizio alla fine in un crescendo di emozioni. Non mi pento mai di leggere le tue storie. Complimenti, Marina 🙂
Crudo e profondo. Da rileggere riflettendo sulle miserie e privazioni dell’essere. Complimenti Marina e grazie per avermi permesso di riflettere sul senso del non senso
E sì, un padre che non ha dato nulla alla propria famiglia. Ha solo preteso, fino ad alzare le mani. Così, quello che si è promesso al momento dello scambio degli anelli, si è frantumato.
Sono passati gli anni e anche se i nodi si sono quasi sciolti, per il sopraggiungere della morte, il dolore che è nato e cresciuto, non si può cancellare facilmente.
Tre vite, buttate in un cestino!
Lava la tua anima e purificala da tutto il male e il dolore che ancora pungono i fianchi. Solo ora, puoi volare e trovare finalmente la libertà.
Grazie Marina T.V.M.B.
La Sardegna..terra che Marina ha nel cuore,la terra dove è nata,la terra che le ha dato tanto e che,dei suoi scritti, chiede tanto. In ogni cosa che Marina scrive trasmette i sentimenti che ha dentro. Tocca i tuoi e scava..brava Marina, sai le mille da toccare. Complimenti!
Un terribile segreto sepolto all’ombra di un ciliegio, che Marina dipana pian piano con le sue sapienti parole.
Sono parole buie, che raccontano il baratro, i sogni infranti e una lettera, che racconta altre verità…
Bravissima Marina, hai raccontato una storia di dolore con tenerezza…
Racconto intenso, coinvolgente come la scrittura ricca di metafore e di similitudini pregnanti. La protagonista, ad un certo punto del suo cammino di vita, comprende che non può sfuggire al passato. Fare i conti con i nostri incubi d’infanzia è sempre doloroso, ma necessario per fare luce dentro di noi, per prendere consapevolezza di chi siamo e di dove stiamo andando.
Le ferite bruciano come sale sulla pelle e pungono come spine, ma rimane sempre viva la speranza di poter volare via, un giorno, dalla gabbia delle nostre emozioni, di volare alto, oltre i muri del dolore anche se abbiamo il vento contrario. Dipende solo da noi.
Racconto intenso, struggente,. La scrittura è precisa, netta, a tratti affilata come un bisturi e scava in un dolore che soffoca anima e mente. Che fa vibrare come la bella Terra di Sardegna che l’autrice tratteggia con pennellate precise, efficaci.
Profondo e intenso. Brava come sempre Marina!
Un racconto molto coinvolgente, e scorrevole che ti prende fino alla fine. L’argomento è molto delicato e purtroppo attuale. Marina riesce a dipingere le sfumature del dolore con semplici parole. Complimenti!!!
Un racconto che ti afferra. Tutte le emozioni si dipanano tra parole sapientemente calibrate, dove la rabbia, il dolore, la delusione e il piegarsi in ginocchio, non portano comunque all’odio. Da un triplo tradimento di fango, padre, madre, terra natia, nasceranno ali di speranze colorate. Complimenti Marina, intensa lettura.
Bellissimo racconto che tocca nel.profondo .
Complimenti
Racconto che ti cala in un ‘atmosfera pregnante di sentimenti e sensazioni cocenti, taglienti ma espressi con tatto, con pudore e delicatezza. Sembra di vedere il paesino sardo che sa ma non dice i campi cotti dal sole, questi ciliegi che con la loro purezza cozzano con il dolore aspro del racconto. Le parole di Marina echeggiano nel silenzio di una campagna omertosa lasciando un profondo segno.
Autrice brillante e mai scontata. Non si racconta la sofferenza, badate bene, ma lo spirito di rivalsa verso una vita forse ingiusta, di sicuro bastarda. Un viaggio nelle emozioni che trasportano il lettore in un vortice di sentimenti contrastanti e “vivi”.
Grazie Marina, grazie davvero!
Un dolore freddo e duro come una spada. Anche se non lascia tracce apparenti, tracce che si scorgano dal di fuori, mascherate dal non detto e dall’impronunciabile ma anche dall’ipocrisia di una società chiusa e piegata a chi ha un qualche potere in più perché possiede qualcosa in più. Un padre che esercita il suo potere sulla figlia mascherando la crudeltà e l’imposizione sotto un un velo illusorio. E una madre che finge di non vedere, schiacciata forse dalla sua debolezza e impotenza, vittima e complice allo stesso tempo, che sceglie la fuga, l’abbandono ma lascia una parola di conforto di speranza. Parole alle quali l’io narrante (l’autrice?) si afferra, che fa sue e trasforma in strumento di redenzione.
Un racconto emozionante, vivido, intenso, nel quale la crudezza del tema trattato viene sapientemente stemperata dalla grande capacità narrativa dell’autrice. Di grande impatto emotivo sia l’immagine dell’albero sia il segreto che esso nasconde.
Bravissima Marina!
Semplicemente fantastico
Crudo ma reale. Brava
Grande scrittrice che sa narrare momenti della vita, tale e quali dei suoi protagonisti. Complimenti
Cruda e reale. Complimenti
Ti leggo sempre con attenzione: le emozioni che riesci a trasmettere sono sempre forti e ti restano dentro anche dopo essere arrivata all’ultima riga.
Complimenti
Il titolo dice tutto…molto salato
La delicatezza in cui é stato affrontato un tema difficile, é stata perfetta.
Questo racconto mi ha toccato il cuore e arriva dritto nel profondo.
Brava… Complimenti davvero
Una paluda nera e fosca che la tua scrittura ha saputo raccontare con la grazia del volo di farfalla. Complimenti vivissimi, cara Marina!